Insieme si può


LA PAROLA MIOTONIA HA UN SUONO DELICATO

IO MIOTONICA COME UN’OPERA D’ARTE

La parola miotonia ha un suono delicato, vero? È composta da due termini che in greco significano muscolo e tensione. E già qui, la delicatezza va a farsi friggere.
Certo, la tensione muscolare genera vita e movimento ma, la tensione causata da un difetto genetico è un’altra cosa. Quando ti alzi dalla sedia non hai la forza di camminare e se ce la metti tutta per farlo, sembri RoboCop oppure cadi come una pera. Sono stata sempre una bambina tranquilla e giudiziosa come sentivo dire dai miei, ma pur sempre una bambina. E giocavo e correvo come tutti gli altri. Ma verso gli 8/9 anni quando mi alzavo dalla sedia non potevo muovere le gambe pesanti una tonnellata, e nei primi passi sembravo goffa e disabile. Ero confusa e sconcertata e mi chiedevo cosa fosse quello strano fenomeno. Oggi dopo quaranta anni e più, ho ancora nitide le domande che facevo a mia madre: “Mamma ho la malattia di zio Gianni?” uno dei suoi cugini, affetto da distrofia. E sempre nitida la risposta: “No ma scherzi” Poi dopo qualche minuto sentivo i muscoli sciogliersi e la forza ritornare. Quindi era tutto a posto, non avevo nulla di cui preoccuparmi.
Ma poi ogni mattina, lo stesso copione: mi alzavo dal letto con difficoltà, e i crampi ai polpacci e alle cosce erano come morsi di cani rabbiosi. Poi dopo un po’ migliorava il movimento e appena pensavo di essermi sciolta, bastava che mi fermassi o che mi sedessi per far sì che tutto ricominciasse, come un loop infinito. La notte era faticoso muoversi e girarsi nel letto e le coperte d’inverno pesavano come un macigno! Poi la mattina mettevo i piedi a terra e di nuovo il déjà-vu, crampi, debolezza e movimento rallentato. Alcune giornate erano veramente insofferenti! Ero timidamente felice nelle parentesi in cui il movimento migliorava, ma desolata nel resto del tempo in cui la debolezza spadroneggiava e disponeva della mia vita. I crampi erano i suoi scagnozzi, piccoli, maledetti, prepotenti, tenaci e affezionati. La stessa problematica riguardava anche le braccia, e le mani, le dita restavano bloccate e senza forza e togliere il cappuccio di una penna o il coperchio di un barattolo era una missione impossibile. Anche parlare dopo un breve silenzio risultava difficile, la mandibola e, la lingua erano serrate e anchilosate. Non ero muta, ma non potevo parlare. La fluidità era una chimera sconosciuta per me, il mio tempo era un continuo sciogliere, sgranchire, disarticolare, sbloccare, muovere, scomporre.
Quel continuo accomodamento, quell’assurdo alternarsi di stati, forse era normale, forse era la “mia” normalità! In fondo ero una bambina sana e in forma, non ero zoppa, avevo tutto e non mi mancava niente. Eppure, sarei voluta scappare da quel corpo così sano e integro, e da quei muscoli così tonici e ben scolpiti. Perché mi sentivo costantemente in una morsa dolorante da cui non potevo liberarmi, così come “I Prigioni” di Michelangelo non possono liberarsi da loro stessi, contorti sotto il peso della loro prigione marmorea. Dunque, sarei anche io un’ opera d’arte? Sicuramente! Ognuno di noi è unico e speciale e cerca il modo più bello per stare al mondo, per trovare i suoi modi e le sue ragioni. Per dare e ricevere amore, sostegno e supporto. Un continuo scambio che arricchisce e dà forza… Perché alla fine, ne vale sempre la pena. Ho cercato tenacemente “un perché” a quel disagio, ho giustificato spesso e amorevolmente i miei muscoli, con la possibilità che fosse colpa della stanchezza, della ginnastica, del ballo che praticavo spesso, perché alla fine, una volta sciolta, riuscivo anche a fare tutto.

D’altronde i medici dicevano che non avevo niente, gli enzimi muscolari erano nella norma e l’ elettromiografia dava come risultato una semplice astenia. Quindi, non mi restava che tranquillizzarmi e trovare il modo per non rendere troppo evidenti quei blocchi, per camuffare i primi goffi movimenti, ogni qualvolta dovessi salire una scala, o i gradini dell’ autobus, andare alla lavagna o semplicemente dovermi alzare da una panchina. Fu difficile, doloroso e psicologicamente impegnativo ma alla fine la paura e l’ansia diventarono fantasia… Avevo sempre da cercare qualcosa nella borsa ai primi gradini, sistemare la giacca o lo zaino sulla sedia di scuola, ballare la tarantella alla fermata dell’ autobus per restare sempre in forma e sempre a mille in tutte le altre occasioni quotidiane che sono comuni a ognuno di noi. Poi a 35 anni la svolta, mio figlio ebbe casualmente il cpk, ldh e aldolasi alti e andammo al Gemelli per gli approfondimenti. Decisero di fare a me l’elettromiografia per evitarla a lui ancora piccolino. Ebbene finalmente “un perché” con il suo vero nome “miotonia congenita di Becker”. Era come se fosse stata messa un’etichetta e una targhetta al mio corpo a quei muscoli così inusuali.
C’è voluto del tempo per accettare, razionalizzare, elaborare. Ma questo non avrebbe cambiato il mio mondo, ero una moglie e una madre felice, realizzata. Scrivevo, dipingevo, mi occupavo di volontariato, avevo una splendida famiglia, tanti amici e una profonda fede Ero l’unica miotonica in famiglia ma, la vita è sempre un dono prezioso, anche quando soffri e sei costantemente dolorante perché due geni recessivi si sono scelti e si sono uniti. La miotonia per fortuna non è degenerativa, e anche se nel mio caso ha favorito tanti altri problemi di salute fisici ed emotivi, sono contenta.
Si dice che l’amore vince ogni cosa… Allora posso dirlo: “sono vittoriosa!” « L’ essenziale è invisibile agli occhi » e una vita intera non può stare in poche righe, eppure sono certa che empaticamente molti sapranno coglierne ogni sfumatura.

P.S. Un ringraziamento di cuore al dott. Lo Monaco

Cristina Lantoni, M.I.A Onlus